di Fabio Buonofiglio

Oggi vogliamo affrontare – seppur brevemente – un argomento scottante. Il tema è: la cultura mafiosa. Per non essere considerati appartenenti a tale filone “culturale” non basta avere la fedina penale immacolata. Non basta affatto, per esempio, fregiarsi della considerazione sociale d’imprenditori puliti, sani, onesti.

 

Per esempio: se hai pagato più volte il “pizzo” e non hai mai denunciato. E se hai denunciato solo e soltanto mesi e mesi dopo, vale a dire nel preciso momento in cui chi ha indagato sul “pizzo” t’ha precettato per raccontare i fatti, non sei uno che ha denunciato in proprio, in Calabria può ben dirsi coraggiosamente, anzi eroicamente.

Sei semplicemente un imprenditore che, mesi e mesi dopo aver pagato il “pizzo”, è stato preso per le orecchie e costretto a denunciare.

 

Quindi sei un colluso, e se proprio non lo sei più, lo sei stato.

Se però dopo la denuncia presti aiuto all’altrui tentativo d’“aggiustare” il processo di chi hai denunciato, torni ad essere colluso, ma stavolta lo torni per il doppio di prima.

 

In taluni casi, la solidarietà e la carità cristiane espresse in vil denaro necessitano di tempi ex ante e senz’alcuna forma di pubblicità. 

Ex post, infatti, persino la solidarietà e la carità cristiane s’ascrivono alla cultura mafiosa.

 

La burla della privacy è la pezza a colori di chi vuole la Calabria resti così com’è, mentre c’è qualcuno che vorrebbe cambiasse e proprio per questo paga un prezzo molto alto, ogni santo giorno.

 

Un prezzo che, per un imprenditore colluso e solidale, sono solo e soltanto soldi spicci. Proprio come il “pizzo”, la solidarietà e la carità cristiane.

direttore@altrepagine.it

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