Nelle carte dell’Antimafia i retroscena del tentato omicidio del 38enne coriglianese Domenico Russo, ex autista del boss del centro storico Pietro Longobucco eliminato nel dicembre del 2018

 

 

di Fabio Buonofiglio

Secondo i magistrati antimafia che indagano sul suo tentato omicidio, avrebbe violato le tacite regole della ‘ndrangheta. E per questo la sera dello scorso 31 gennaio gli avevano teso un agguato nel cuore del centro storico coriglianese, a pochi passi dalla sua abitazione di Via Municipio tra l’ingresso del Cinquecentesco maestoso Castello ducale e il sagrato della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Dove il 38enne Domenico Russo aveva parcheggiato la sua Fiat Multipla, a bordo della quale era appena salito dopo essere uscito di casa (foto).

 

Il tribunale senz’appello della ‘ndrangheta aveva sentenziato che ‘u chiattu – questo il suo soprannome – doveva fare la stessa fine di Pierinu ‘u iancu, Pietro Longobucco, il boss del centro storico eliminato dalla ‘ndrangheta nel dicembre del 2018 di cui lo stesso Russo era stato fidato autista.

 

Per sua fortuna, però, l’ignoto sicario che doveva eseguire la condanna nei suoi confronti, ha fallito la missione di morte che gli era stata affidata. E Russo, forse proprio per la sua robustissima, imponente corporatura, era rimasto soltanto ferito, riuscendo miracolosamente a salvarsi dai diversi colpi di pistola calibro 38 che gli erano stati esplosi contro bucando ripetutamente il parabrezza dell’auto.

 

I carabinieri sul luogo del fallito agguato mortale

 

Ricoverato per lungo tempo in ospedale, dopo essersi ripreso, quello che fino ad allora era stato un ortodosso omertoso picciotto viene assalito da un amletico dilemma. Già: parlare o non parlare con gli “sbirri” che s’era ritrovato attorno sin dalla sera dell’agguato anche per garantirgli di mantenere viva la sua carne?

 

La Procura distrettuale antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri ha cristallizzato un esemplare dialogo tra lui e il padre, intercettato il 7 marzo proprio all’interno dell’ospedale. Che la dice lunga sull’aurea “legge del silenzio” che vige in regime di ’ndrangheta: «Ma tu non ci devi andare perché non sai niente», «invece i fatti sono successi proprio così…cioè…o è invidia o qualcuno ti sospetta che ti sei preso più soldi», «io ti posso dire solamente una cosa a papà…che tieni i figli. Mi hai capito?». Il sostituto procuratore Alessandro Riello ha in mano queste ed altre captazioni dei giorni successivi…

direttore@altrepagine.it

 

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