di Fabio Buonofiglio

La notizia giunge come un fulmine improvviso, ma a ciel tutt’altro che sereno per i quattro condannati lo scorso 17 febbraio, da parte dei giudici della Corte d’Assise di Cosenza, a pene dai 23 ai 25 anni di reclusione per l’omicidio volontario d’un neonato, premeditato ed aggravato, consumatosi nel maggio del 2012 nel Pronto soccorso del “Guido Compagna”, il presidio ospedaliero coriglianese di Corigliano-Rossano. Il sostituto procuratore di Castrovillari Valentina Draetta, il pubblico ministero rappresentante l’accusa nello stesso processo di primo grado tenutosi in Assise a Cosenza, che aveva sollecitato la pena dell’ergastolo nei confronti di tutt’e quattro gl’imputati, è tornata infatti alla carica,

 

invocando, nuovamente, la stessa massima pena prevista dall’ordinamento italiano nei confronti del noto medico ospedaliero 58enne Sergio Garasto e della 42enne Stefania Russo (i due nella foto in apertura), della 47enne amica di quest’ultima Nunziatina Falcone, e del 38enne Piero Andrea Zangaro, amico del medico e d’entrambe le donne. E l’ha fatto, il magistrato requirente, attraverso un motivato e corposo ricorso alla Corte di Cassazione. Il clamoroso atto è stato depositato lo scorso 18 giugno. Si tratta d’un ricorso per saltum, vale a dire un ricorso tendente a portare il processo direttamente all’ultimo grado di giudizio saltando l’appello, i cui termini per la presentazione dei relativi ricorsi da parte degli avvocati difensori scadrebbero la prossima settimana. Già. Ma quali sono i motivi che hanno indotto il pm Draetta a presentare tale ricorso ai supremi giudici della Cassazione? Si tratta di motivazioni tutte giuridiche – ovviamente – essendo gli “ermellini” del “palazzaccio” di Piazza Cavour a Roma giudici di legittimità e non di merito.

 

Stefania Russo e Nunziatina Falcone

 

In pratica, il magistrato di Castrovillari ha impugnato la sentenza emessa lo scorso febbraio da parte degli otto giudici che componevano la Corte d’assise di primo grado di Cosenza, due togati, la presidente Paola Lucente ed il giudice Luigi Branda, e sei popolari, poichè – a parere dello stesso pm – la determinazione dell’entità delle pene si sarebbe fondata, tra le righe delle 140 pagine della sentenza di primo grado, su un erroneo bilanciamento tra le circostanze aggravanti dello stesso reato e le attenuanti generiche riconosciute a tutt’e quattro gl’imputati. Due dei quali, invece, risultano gravati da procedimenti penali. Si tratta, in particolare, di Zangaro e del medico Garasto. Soprattutto a carico del presunto “dottor morte” – che è l’imputato principale di questo processo – v’è un elenco lunghissimo di processi tuttora in corso che figura nelle numerose pagine del suo certificato dei carichi pendenti, allegato, come quelli dei tre coimputati, nel ricorso per Cassazione del sostituto procuratore Draetta. La pena più alta, 25 anni di reclusione, era infatti stata inflitta proprio a Garasto, 24 anni alla Russo, la ritenuta madre assassina, e 23 ciascuno alla Falcone ed a Zangaro, i loro complici.

 

Il “palazzaccio” della Cassazione a Roma

 

Il rappresentante la pubblica accusa ha dunque richiesto ai supremi giudici della Cassazione l’annullamento della «viziata» sentenza emessa dall’Assise cosentina. Difficile prevedere che succederà, adesso. Vale a dire: dove proseguirà il processo, in Corte d’Assise d’appello a Catanzaro oppure in Cassazione? Appare evidente che i difensori dei quattro imputati – gli avvocati del foro di Castrovillari Antonio Pucci, Mario Elmo, Alfonso Sapia e Pasquale Di Iacovo (quest’ultimo soltanto da poco subentrato nella difesa di Zangaro) – difficilmente aderiranno al ricorso per saltum presentato della Procura, ma l’atto depositato in Cassazione resta pendente, a dispetto dei ricorsi che i quattro professionisti con ogni probabilità hanno già depositato nella cancelleria della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro.

direttore@altrepagine.it

 

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