L’imprenditore agricolo aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento a Rende durante l’emergenza da Coronavirus. Delitto ripreso da alcune telecamere? Effettuato lo “stub” su alcuni sospettati

 

 

di Fabio Buonofiglio

Un omicidio a telecamere accese. Già. Sembrerebbe, infatti, che gl’investigatori dell’arma dei carabinieri abbiano acquisito e stiano attentamente visionando le registrazioni d’una telecamera di sorveglianza privata posta nei pressi del luogo in cui mercoledì mattina scorso s’è consumato a colpi di kalashnikov e d’una pistola calibro 7,65 l’omicidio del 40enne di Cassano Jonio Francesco Elia, lasciando gravemente ferito sul “campo di battaglia” l’operaio rumeno di 30 anni Mihita Capraru Bogdan il quale si trovava al suo fianco nell’abitacolo della Fiat Panda guidata dalla vittima e che per scampare ai colpi di grazia del commando killer s’era finto già morto.

 

Il rumeno – testimone oculare preziosissimo per gl’inquirenti – adesso è ricoverato in prognosi riservata nell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Non è ancora fuori pericolo di vita e viene piantonato dai carabinieri 24 ore su 24 per la parte di pericolo di vita che residua dal suo grave ferimento nell’imboscata costata la vita al suo datore di lavoro. Elia e Capraru avevano appena fatto ingresso nell’azienda agricola della famiglia dell’imprenditore cassanese, in contrada Caccianova di Cassano. A riprendere la scena del delitto, non è dato sapersi da quali angolature e con che grado di nitidezza delle immagini rimaste impresse sulle videoregistrazioni di quelle cruente sequenze di morte, sarebbero state le telecamere di un’azienda agricola confinante con quella degli Elia. Le registrazioni sono state acquisite nelle ore immediatamente successive all’agguato.

 

I carabinieri sul luogo del delitto Elia 

 

Nelle stesse ore i detective dell’Arma, coordinati dal sostituto reggente la Procura di Castrovillari Valentina Draetta, si sono presentati al cospetto d’alcuni pregiudicati, col sospetto che abbiano potuto prendere parte all’azione omicidiaria, al fine d’effettuare nei loro confronti l’esame dello stub atto a stabilire la presenza sui loro corpi di tracce di polveri da sparo. Il lavoro degl’investigatori e le risultanze dell’attività da essi finora svolta sono ovviamente coperti dal più impenetrabile riserbo, mentre da qui a brevissimo il fascicolo d’indagine passerà di competenza dalla Procura ordinaria di Castrovillari alla distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.

 

Sì, perché l’omicidio di Francesco Elia è un delitto di ‘ndrangheta, e su questo non c’è ombra d’alcun dubbio da parte degl’inquirenti. L’imprenditore nei mesi scorsi era stato vittima d’alcuni avvertimenti intimidatori ed attentati incendiari, consumati da ignoti proprio all’interno dell’azienda agricola familiare. Per questo, la pista di movente privilegiata pare essere quella della connessa alla concorrenza o all’ingerenza ’ndranghetista proprio nelle attività imprenditoriali in agricoltura di Elia e dei suoi familiari, al di là del fatto che il padre e lo zio dell’ucciso, i fratelli Alfredo e Giuseppe Elia, siano stati per anni i boss di Cassano, prima d’essere eliminati nei primi anni Novanta nel corso d’una cruentissima guerra di ‘ndrangheta.

 

Francesco Elia

 

Elia, insomma, potrebbe essersi messo di traverso, pagando con la vita la “colpa” d’avere ostacolato l’espansione economica nel settore agricolo che da anni interessa assai la ‘ndrangheta tanto nel Cassanese quanto nel resto della Piana di Sibari.

 

Il luogo in cui furono eliminati a colpi di kalashnikov l’imprenditore agricolo coriglianese Francesco Romano e l’aspirante boss Pietro Greco

 

Vien da chiedersi se vi sia qualche collegamento tra l’agguato mortale ad Elia e quello in cui il 23 luglio dell’anno scorso era caduto, anch’egli a colpi di kalashnikov, un altro imprenditore agricolo, vale a dire il 44enne coriglianese Francesco Romano trucidato nelle campagne di contrada Apollinara a Corigliano-Rossano unitamente al noto pregiudicato 49enne Pietro Greco, aspirante boss originario di Castrovillari ma da anni residente a Sibari. Infine, c’è un altro particolare elemento su cui si starebbe pure focalizzando l’attenzione investigativa. Francesco Elia da qualche mese aveva trasferito la propria residenza familiare – il 40enne era sposato ed era padre di due bambine – dal Comune di Cassano Jonio a quello di Rende. Elia e il resto della sua famiglia, però, avevano continuato a vivere nel centro storico cassanese. Un cambio di residenza richiesto ed ottenuto, a quanto pare, durante il periodo di lockdown nell’emergenza del Coronavirus. Una formalità? Utile a che cosa?

direttore@altrepagine.it 

 

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